Quando ci dimentichiamo che amare Dio vuol dire amare il prossimo. Per usare una metafora, possiamo immaginare il Cristianesimo come una croce: il braccio verticale si estende verso il cielo, verso Dio; quello orizzontale si protende verso gli altri.

Nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, il vangelo restaurato riafferma questa duplice struttura.

Tuttavia, anche tra i Santi degli Ultimi Giorni può emergere la tendenza a porre un’enfasi eccessiva sulla relazione verticale con Dio – ovvero la rettitudine personale, la dignità per il tempio, lo studio delle Scritture e la preghiera – a scapito delle relazioni orizzontali, che ci è comandato di coltivare con il nostro prossimo.

Quando si verifica questo squilibrio, e non applichiamo a pieno il comandamento di amare il prossimo, rischiamo di ridurre il vangelo restaurato a qualcosa di più ristretto e meno potente di quanto il Salvatore intendesse.

Quando ci dimentichiamo che amare Dio vuol dire amare il prossimo

Tu sei la chiesa

Ai Santi degli Ultimi Giorni viene insegnato a cercare la rivelazione personale, a rafforzare la propria testimonianza e a costruire una relazione profonda con il Padre Celeste e Gesù Cristo.

Questi sono obiettivi sacri ed essenziali. Il presidente Russell M. Nelson ha sottolineato che

“Nei giorni a venire, non sarà possibile sopravvivere spiritualmente senza la guida, la direzione, il conforto e l’influenza costante dello Spirito Santo”.

Questo evidenzia l’importanza della connessione verticale. Tuttavia, tale connessione non dovrebbe rimanere isolata o essere fine a sé stessa.

Il Primo Grande Comandamento, amare Dio, è incompleto senza il Secondo, ovvero amare il prossimo come noi stessi (Matteo 22:39). Anzi, amare gli altri è una delle manifestazioni più autentiche dell’amore per Dio.

Il pericolo di concentrarsi esclusivamente sull’aspetto verticale si manifesta quando i membri credono che la loro salvezza sia garantita dalla sola dignità personale, senza una corrispondente attenzione alla sofferenza, ai bisogni o alla dignità altrui.

Una tale prospettiva contraddice l’esempio di Gesù Cristo, che ministrava non solo nei templi o nelle sinagoghe, ma anche per le strade, sulle colline, tra i lebbrosi, i peccatori, gli emarginati e i poveri. L’anziano Dieter F. Uchtdorf ha ammonito:

“È sbagliato supporre che se amiamo Dio, ameremo automaticamente il nostro prossimo. I due comandamenti sono separati, ma inseparabilmente connessi”.

La Fede in azione: insegnamenti dalle Scritture

riunioni domenicali

Il Libro di Mormon rafforza ripetutamente questo principio. La dichiarazione di re Beniamino, “quando siete al servizio dei vostri simili voi non siete che al servizio del vostro Dio” (Mosia 2:17), è particolarmente incisiva.

Egli insegna inoltre che se neghiamo aiuto a un mendicante dicendo:

“Quest’uomo si è procurato da sé la sua infelicità; perciò tratterrò la mia mano e non gli darò del mio cibo…”, siamo sotto condanna (Mosia 4:17).

Questi passi si oppongono direttamente a una fede esclusivamente verticale – una fede che cerca di giustificare la mancanza di compassione con il pretesto della disciplina spirituale – e ci invitano ad abbracciare una religiosità in cui il rapporto con Dio si esprime anche negli obblighi verso gli altri.

Nel vangelo restaurato, le alleanze sono centrali, ma non sono private. Il battesimo ci introduce in una comunità di Santi, dove “portiamo i fardelli gli uni degli altri, affinché possano essere leggeri” (Mosia 18:8–9).

L’investitura del tempio ci insegna a vivere una vita di consacrazione, dedicando non solo tempo e talenti, ma anche risorse ed energie al servizio degli altri. Il sentiero dell’alleanza non è un percorso solitario, ma un viaggio condiviso.

La stessa Sion, aspirazione finale dei Santi, non può essere edificata senza una società di puri di cuore che aspirino a diventare “di un solo cuore e una sola mente” (Mosè 7:18).

Oltre il consumo spirituale: la Fede come servizio

Purtroppo, una vita centrata solo sull’aspetto verticale della fede può degenerare in una sorta di consumismo spirituale:

“La Chiesa mi ha dato qualcosa oggi?”, “Ho sentito lo Spirito durante il mio studio personale delle Scritture?”.

Queste sono domande legittime, ma diventano insufficienti se non sono accompagnate da altre, quali:

“Ho alleggerito i fardelli di qualcuno questa settimana?”, “Ho cercato chi si sente invisibile?”, “Sto contribuendo a rendere il mio rione, il mio ambiente di lavoro o il mio quartiere più giusto, misericordioso e gentile?”.

Il vangelo restaurato è vasto. Esorta sia alla santità personale sia a quella sociale.

Come ricorda il presidente Nelson, il raduno di Israele – la grande opera degli ultimi giorni – non riguarda solo la conversione individuale, ma anche l’impegno nel guarire, servire e preparare il mondo per il ritorno del Salvatore.

Il Signore stesso ha dichiarato:

“Io, il Signore, sono vincolato quando fate ciò che dico” (DeA 82:10); ma anche: “Se non siete uno, non siete miei” (DeA 38:27).

Per il Signore, l’obbedienza personale e l’unità comunitaria sono entrambe profondamente importanti.

Una Fede completa: dalla lista di cose da fare all’edificazione di Sion

Edificare Sion

Nella cultura dei Santi degli Ultimi Giorni, la differenza tra una fede individualistica – solo verticale – e una fede integrale, che include anche la dimensione orizzontale, si riflette spesso nel modo in cui i membri interpretano e vivono le proprie alleanze.

Un approccio esclusivamente verticale può tradursi in una mentalità da “lista di cose da fare”, centrata su rettitudine personale, partecipazione al tempio e lettura delle Scritture come risultati spirituali isolati.

Sebbene sincera, questa forma di devozione può diventare autoreferenziale, focalizzata sulla salvezza individuale e sul progresso personale senza una corrispondente apertura verso il servizio, facendoci ignorare il comandamento di amare il prossimo.

Al contrario, una vita evangelica più completa riconosce che il vero discepolato implica l’edificazione di Sion non solo dentro di sé, ma anche nei rioni, nelle comunità, e oltre.

Questa visione più ampia comprende le alleanze non come semplici promesse private, ma come impegni sacri a risollevare i poveri, accogliere lo straniero, piangere con chi piange e costruire attivamente una società fondata sull’unità e sulla carità.

In questo modello, la fede non è una scala da scalare da soli, ma una rete di responsabilità condivisa, di amore e di azione, in cui la salvezza non è solo personale, ma collettiva.

La Croce come simbolo del vero discepolato: amare Dio e amare il prossimo

amare il prossimo

La croce di Cristo, pur non essendo un simbolo liturgico ufficiale tra i Santi degli Ultimi Giorni, comunica comunque una verità visiva potente: il vangelo si estende verso il cielo e verso l’esterno.

Come seguaci di Cristo, non siamo chiamati ad ascendere a Dio da soli. Dobbiamo sollevare, accompagnare, sostenere e amare il prossimo.

Solo così possiamo riflettere la pienezza delle nostre alleanze e diventare davvero Suoi discepoli. Che le nostre preghiere salgano come incenso, ma che le nostre mani si protendano come quelle di Cristo.

Non limitiamoci a essere degni: operiamo il bene. Perché nel vangelo restaurato, fede e opere non sono rivali, ma alleate. In Cristo, cielo e terra si incontrano – e nei Suoi veri discepoli, non sono mai distanti.

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